Il termine “Raqs Sharqi” significa danza orientale e rappresenta la danza classica, popolare e tradizionale dell’Egitto. Le sue radici sono antichissime e viene praticata ancor oggi, concepita come divertimento sociale, all’interno della famiglia o in occasioni particolari quali i matrimoni, le feste etc...

Tuttavia, danza del ventre è la definizione più popolare e più diffusa della danza orientale, tanto nella versione tradizionale quanto moderna.

Non esiste documentazione scritta sulla danza del ventre che risale a periodi antecedenti il 1800.

Testimonianze archeologiche indicano che le donne erano molto considerate nelle civiltà pre-urbane e solo in seguito persero importanza. Ritrovamenti di numerose statuine e decorazioni parietali di molti luoghi sacri rappresentano soprattutto figure femminili e indicano che il culto della dea-madre era praticato in tutto il Medio Oriente nel periodo neolitico, e in alcune zone sopravvisse fino al 2000 a.C.

La dea babilonese“Ishtar” [1] rappresenta il prototipo della Grande Dea, simbolo di fertilità, dell’amore e della sensualità.

Le sacerdotesse la onoravano con Danze sacre. Danze propiziatorie e rituali magici che coinvolgevano anche i fedeli attraverso il movimento del corpo allo scopo di raggiungere uno stato mistico per entrare in contatto con la Divinità. Con la danza entravano in relazione profonda con i ritmi della natura. Imitandoli e identificandosi con essi, danzavano gli eventi più importanti della loro esistenza quali, ad esempio, la nascita, la semina , il raccolto, il matrimonio ecc. Le Danze non erano strutturate secondo canoni estetici, che si sono formati successivamente, ma improvvisate per dare libero sfogo all’espressività, all’emozione. Gesti semplici che rievocano i movimenti degli animali, del mare, della luna, del fuoco.

Nella danza del ventre molti movimenti imitano diversi animali come il serpente o il cammello, le onde del mare, la forma della luna o del cerchio-uovo primordiale, movimenti che ricordano il parto o l’atto sessuale. Nella danza della fertilità (praticata da giovani donne che ballavano in onore della Dea Madre per affrontare i dolori e i segreti della maternità) ritroviamo i particolari movimenti dei fianchi che contraddistinguono la danza del ventre e lo shimmy o rasha, la particolare vibrazione del bacino. Successivamente con l’affermarsi delle culture patriarcali si distinse in danza laica, organizzata nelle celebrazioni a carattere sociale come nozze, banchetti ed anche feste dedicate al ricordo dei morti poiché esisteva la credenza che i morti dovevano godere di un ambiente grande ed allegro dentro la loro tomba, e che i loro parenti dovevano organizzare gioiose feste in loro memoria; danza ufficiale, organizzata dai Re ed i loro rappresentanti generalmente in onore di alcuni Dei; danza popolare o civile, che si celebrava generalmente nei palazzi o nelle case ed era eseguita da gruppi di ballerini di ambo i sessi che erano alle dipendenze dei Signori degli Alcazar (palazzi fortificati).

Pur essendo stata praticata a livello popolare, la danza del ventre ebbe varianti raffinate nei secoli X e XI e durante il periodo ottomano, fino all’800. Dopo tale data subì un lento declino, che la condusse, in seguito a influenze occidentali, a forme di danza impoverite e distorte. E’ probabile che lo sfaldamento delle comunità rurali abbia contribuito direttamente a questa fase involutiva.

Bibliografia

* Jolanda Guardi "Il raqs sarqi in Egitto: alcune considerazioni a partire dalle descrizioni dei viaggiatori occidentali" in P. Branca, a cura di, Tradizione e modernizzazione in Egitto, Franco Angeli 2000
* C. Macaluso - S. Zerbeloni: “La danzaterapia” Milano - 1999, ed.: Xenia
* S. Mohamed: “La danza Magica del Vientre” Madrid - 1994, ed.: spagnola Mandala
* W. Buonaventura: “Il serpente e la sfinge” Como - 1986, ed.: Lyra Libri
* L. Ahmed: “Oltre il velo” Firenze - 1995, ed.: La Nuova Italia
* G. Endress: “Introduzione alla storia del mondo musulmano” Venezia -1994, ed.: Marsilio
* G. Mandel: “Storia dell’Harem” Milano - 1992, ed.: Rusconi
* M. Gimbutas: “Il linguaggio della Dea” Vicenza - 1997, ed.: NeriPozza
* S. Husain: “La Dea” Torino - 1999, ed: E.D.T.
* C. Jacq: “Le donne dei faraoni” Milano - 1996, ed.: Mondadori
* F. Mernissi: “ L’Harem e l’Occidente” Firenze - 2000, ed.: Giunti
* K. Van Nieuwkerk “A trade like any other” Austin - 1995, ed.: University of Texas

Note

[1].A lei viene fatta risalire la danza dei sette veli. Uno dei miti che la riguardano riporta la sua discesa agli inferi alla ricerca del consorte Tammuz. Ishtar varca sette porte lasciando ogni volta come pegno uno dei suoi gioielli o uno dei suoi veli, spogliandosi dell’ultimo velo davanti alla settima.
Web design Reggio Emilia: StraniSiti.it